I borghi della riforma agraria in Sicilia: cronaca di una storia sconosciuta

Venerdì 29 marzo, nella Biblioteca Comunale di Paternò, si è svolto il convegno “I borghi della Riforma Agraria in Sicilia: cronaca di una storia sconosciuta”, organizzato dall’I.P.A.A. “Santo Asero” di Paternò col patrocinio dell’Assessorato ai Beni Culturali nell’ambito della “Settimana della Cultura e del libro” promossa dalla Biblioteca dell’I.P.A.A. Il convegno verteva sulla Riforma Agraria, intesa in senso più ampio delle vicende che portarono alla legge di riforma del 1950, per comprendere le politiche riformiste in tema di assetti proprietari e trasformazione del comparto agricolo sostenute dai diversi governi e regimi susseguitisi in Italia nel Novecento. In particolare, l’attenzione è stata posta alla costruzione dei borghi che costellano le campagne della Sicilia, costruiti lungo un arco di tempo che attraversa il primo dopoguerra per concludersi alla fine degli anni Cinquanta del Novecento.

Si tratta di un capitolo importante, ma poco conosciuto (dagli stessi siciliani, innanzi tutto), perlomeno, al di fuori degli studi in ambito specialistico, in cui, pure, questo argomento è rimasto confinato in posizione defilata, marginale, fin quando, nel 2005, la pubblicazione di “Nel segno del Littorio”, dello storico dell’architettura e antropologo francese Liliane Dufour, non ha impresso una svolta decisiva nell’interesse anche da parte delle istituzioni per questo patrimonio misconosciuto della Sicilia, la regione con la più alta densità di beni storici, artistici e ambientali per chilometro quadrato d’Europa e quindi, possiamo ben dire, del mondo.
borgo-pietro-lupoA aprire l’incontro è stato, in sostituzione dell’Assessore alla Pubblica Istruzione e ai Beni Culturali, l’Assessore alle Attività Produttive, prof. Agostino Borzì, che ha presentato il ventaglio di iniziative e proposte dell’Amministrazione comunale di Paternò per valorizzare in maniera non occasionale e sporadica il patrimonio culturale del territorio. In questa prospettiva, la frazione di Sferro rientra fra i progetti che assumono un rilievo strategico nei piani e nell’azione dell’Amministrazione in carica, pur nelle difficoltà in cui gli enti locali, non solo il Comune, si dibattono nell’attuale fase di ristagno, se non di recessione, del sistema-Paese.

Successivamente, ha preso la parola il Dirigente Scolastico dell’I.I.S. “Francesco Redi”, cui l’I.P.A.A.”Santo Asero” afferisce, prof. Silvio Galeano, che ha sottolineato come l’impegno dell’I.I.S., in tutte le sue articolazioni, così come di tutta la scuola quale motore della formazione e della crescita sociale, sia, conformemente alle esigenze emerse nella realtà odierna, di andare oltre il ruolo di agenzia che si limita a trasmettere cultura, per porsi come centro di propulsione e produzione culturale. Lungi dal limitarsi a fare solo da testimone o interlocutore, la scuola – e l’I.P.A.A. non intende sottrarsi alla sfida – promuove e produce cultura, inserendosi attivamente nelle realtà del territorio quale protagonista e interprete del cambiamento, in concorso con le altre forze sociali e le istituzioni pubbliche. In tal senso, il convegno non risponde solo alla “ragione sociale” e statuaria di un Istituto Professionale per l’Agricoltura: e l’aver voluto il coinvolgimento di docenti dell’Università di Catania e di studiosi e storici del cinema, ha concluso il Dirigente Scolastico, attesta questa consapevolezza e la volontà di un impegno che intende in modo dinamico e ampio raggio processi e opportunità della didattica.

La prof.ssa Lucia Caruso, responsabile della Biblioteca dell’I.P.A.A., ha illustrato il programma degli ulteriori appuntamenti della “Settimana del Libro e della Cultura”, che, dal 29/4 al 6/5, prevedono incontri su “Verde urbano e tutela e promozione del territorio”, “Territori e modelli di sviluppo”, una “Giornata della legalità” e un incontro con “Giovani autori”. Alle giornate prenderanno parte in qualità di relatori esponenti delle istituzioni e della società civile, del mondo universitario, dell’associazionismo.

borgo-chiesaQuindi, è intervenuto il prof. Rocco Giudice, che ha ripercorso nelle linee generali le vicende storiche che hanno visto la Sicilia al centro delle rivendicazioni sociali a partire dalla colonizzazione greca (con le lotte dei killýrioi, nella Siracusa del IV secolo a.C.: e successivamente, alla fine delle guerre puniche, la prima guerra servile della storia di Roma, esplosa a Enna nel 136 a.C. sotto la guida di Euno) per giungere, lungo il corso di secoli scanditi da rivendicazioni combattivamente sostenute, al Secolo Breve, in cui la nostra isola è stata l’epicentro delle lotte per la terra che segneranno, in maniera, spesso, cruenta in Sicilia più che altrove, l’immediato secondo dopoguerra. (L’immaginario collettivo è fisso sul fermo-immagine di Portella delle Ginestre, fra suggestioni cinematografiche e la mitologia fiorita attorno a Salvatore Giuliano, ma sia prima che dopo vi furono violenze non meno e semmai, più sanguinose: come a Caccamo, nel 1946, dodici morti e un centinaio di feriti negli scontri fra braccianti e forza pubblica). Nell’elaborazione storiografica delle vicende a noi più prossime, tuttavia, come nella trascrizione/ trasfigurazione mito-poietica non solo popolare, non trova adeguato spazio una riflessione che acquisisca alla coscienza collettiva l’esperienza così importante dei progetti, dei tentativi e delle realizzazioni concrete in senso riformistico, che trovano nei borghi costruiti in Sicilia una espressione di per sé eloquente, ma rimasta, fin qui, senza voce, tantomeno propria, non senza qualche responsabilità delle forze che, prima, guidarono i movimenti per l’occupazione del latifondo e poi, si opposero alla Riforma entrata in vigore con la legge-‘stralcio’ del 21 ottobre 1950. Questo oblio di una pagina tanto importante per la conoscenza storica e la coscienza civile spiega l’avere, pertanto, non provocatoriamente intestato l’incontro alla “cronaca di una storia sconosciuta.”

borgo-cane-lupoIl prof. Fausto Carmelo Nigrelli, docente presso il Dipartimento di Architettura in Siracusa dell’Università di Catania, si è soffermato sull’analisi delle linee di fondo della costruzione dei borghi dall’epoca pre-fascista a quella post-fascista, con una disamina sintetica quanto puntuale, oltre che delle tipologie strutturali e funzionali dei borghi, delle esigenze non solo tecnico-architettoniche, ma anche paesaggistiche e ambientali nella scelta dei luoghi in cui costruire i borghi. Il prof. Nigrelli ha, quindi, distinto per tipologie i borghi, da quelli di fondazione a quelli sorti dalla ristrutturazione degli alloggiamenti costruiti per ospitare gli operai impegnati nelle attività di bonifica delle aree paludose, di costruzione delle infrastrutture o in prossimità delle miniere. Il prof. Nigrelli ha offerto il modo di rilevare la continuità fra l’azione intrapresa in epoca fascista con quella scaturita dai governi della Repubblica, operata, spesso, dagli stessi protagonisti, che agivano, pertanto, non sulla base di aprioristiche scelte di schieramento, di adesioni opportunistiche o di motivazioni ideologiche esclusive, ma sulla base di una visione tecnica del problema di una modernizzazione sociale e produttiva, con tutti i condizionamenti derivanti dall’agire, certo, all’interno di un quadro di regime. Il prof. Nigrelli ha, poi, illustrato un progetto di legge, progetto cui ha concorso personalmente, mirante al recupero dei borghi, quasi tutti in stato di abbandono, per delineare, contestualmente a concetti acquisiti come quello di ‘albergo diffuso’, percorsi turistici alternativi, ridisegnando la percezione della Sicilia reale sulla base della stessa ‘geografia’ dei borghi e di quello che il prof. Nigrelli ha definito il ‘paesaggio della riforma’: non solo come risultante dalla edificazione e prima ancora, dalla individuazione delle aree, ma anche quale interazione dei diversi fattori in cui si traduce l’opera dell’uomo. Così, attraverso la rete viaria già esistente, il prof. Nigrelli ha tracciato un percorso che dalla Sicilia occidentale a quella centro-orientale tocca le diverse aree produttive e i distretti eno-gastronomici che sono emersi negli ultimi decenni in Sicilia come motori di uno sviluppo legato all’attività agricola: dai vigneti del trapanese agli agrumeti dell’Agrigentino, dai formaggi dell’Ennese alle peculiarità granarie di cui la Sicilia è ricca, vantando oltre 55 varietà sulle 70 censite in ambito nazionale.

Nel suo intervento, il professor Vincenzo Sapienza, docente del Dipartimento Ingegneria Civile e Architettura dell’Università di Catania, autore di un volume imprescindibile sull’argomento, “La colonizzazione del latifondo siciliano. Esiti e possibili sviluppi” (Lussografica, 2010), ha privilegiato gli aspetti tecnico-formali della pianificazione dei borghi, bensì in rapporto costante con la storia del Paese sotto i regimi monarchico, fascista e repubblicano. Un processo storico dalla portata così ampia, infatti, si lascia circoscrivere meno di altri a un solo ambito di ricerca. Il prof. Sapienza è risalito ai precedenti storici che vedevano l’edificazione di borghi per iniziativa di privati, supportati in seguito dal sostegno pubblico: da Libertinia, sorta a opera dei baroni Libertini, al Borgo Santa Rita, dovuto ai baroni La Lomia. Quindi, il prof. Sapienza ha esaminato i progetti, certo, più organici elaborati in epoca fascista, che videro scontrarsi fazioni divise da obiettivi che riflettevano limiti e contraddizioni interne al regime, fra ri-ruralizzazione che mirava a una città rurale, però, anti-urbana, come teorizzato da uno degli artefici della pianificazione dei borghi, Edoardo Caracciolo: e dall’altro lato, da una modernizzazione di cui era espressione la stessa opera di riforma, con il riassetto proprietario del latifondo e dei terreni demaniali, da assegnare ai braccianti. Contrasti che si intrecciavano anche ai contrapposti fronti che dividevano architetti e urbanisti fra i sostenitori del razionalismo architettonico, per cui la struttura è dettata e se non determinata, subordinata alla funzione pratica: e assertori della continuità sia con le tradizioni ‘autarchiche’ dell’architettura italiana e dell’edilizia locale sia con la monumentalità e magniloquenza care al regime. Contrapposizioni che si ritrovavano anche ai livelli più alti della direzione dell’ente per la colonizzazione, dando luogo a declinazioni diverse nel tentativo di conciliare le visioni contrastanti o di accentuare taluni elementi architettonici rispetto ad altri. Da questi contrasti e dalle esigenze connesse all’embargo decretato dalla Società delle Nazioni in seguito all’attacco all’Etiopia scaturirà, sullo scorcio degli anni Trenta, quello che il prof. Sapienza definisce lo “stile littorio”, un linguaggio architettonico che caratterizza specificamente le realizzazioni del Ventennio attraverso la rimodulazione delle linee neoclassiche sul dinamismo modernista.

La prof.ssa Sonia Grasborgo-mariaso, ricercatrice del Dipartimento Ingegneria Civile e Architettura dell’Università di Catania, si è riallacciata agli interventi dei proff Nigrelli e Sapienza per delineare un recupero della memoria che si proponga come possibilità di futuro alla luce della mutata consapevolezza non solo sul piano della conoscenza storica e civile, ma anche della accresciuta e nuova sensibilità rispetto ai contesti ambientali, al patrimonio naturalistico e all’estetica, si potrebbe dire, del paesaggio. Temi che, al di là dei circuiti specialistici e più ristretti della cultura accademica e delle circostanze legate alle ricorrenti battaglie ecologiste per la tutela del territorio e della salute, si manifesta in modo crescente a livello di opinione pubblica. La prof.ssa Grasso ha fatto riferimento, in proposito, alla Convenzione Europea del Paesaggio, tenutasi a Firenze nell’anno 2000, dalla quale è scaturita la seguente definizione di paesaggio: “Una determinata parte del territorio così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni.” Proprio la percezione è, dunque, un presupposto essenziale, un elemento strutturale per dare concretezza all’idea e senso alla pratica non abusiva del paesaggio: la consapevolezza dei fini e delle strategie da utilizzare per un rapporto non conflittuale, ma armonico con l’ambiente non può, delegando tutto a una tecnica slegata dalle interrelazioni che hanno segnato il territorio, prescindere o ignorare le sollecitazioni e del resto, le lezioni che derivano dalla conoscenza del passato: conservare il paesaggio vuol dire conservare la memoria storica di quanto lo ha modellato. Parafrasando il fortunato Paesaggio e memoria, di Simon Schama, la memoria è da coniugare al futuro: Paesaggio e futuro, pertanto. Nel caso dei borghi, questo equivale a privilegiare una dimensione specifica che rinvia al concetto di “paesaggio della riforma” richiamato dal prof. Nigrelli nel suo intervento: così che ogni azione di recupero dei borghi possa tenere conto e rispecchiare l’insieme di fattori che hanno determinato la facies di luoghi che, in mancanza, spesso, di elaborazioni demandate a enti, discorso pubblico o intellettuali, si presentano come testimonianza del patrimonio antropologico che nel paesaggio è sedimentato.

A chiusura della sessione dei lavori della mattina, sono intervenuti Giuseppe Turrisi, giovane che risiede nel borgo di Sferro e l’avvocato Pippo Virgillito, consigliere regionale di Sicilia Antica. Turrisi, che alla storia e all’architettura di Sferro ha dedicato la tesi di laurea, ha portato una breve testimonianza personale su una micro-comunità che, del resto, pur in mezzo a traversie e a tragedie come quella della II Guerra Mondaile, quando attorno a Sferro, nodo ferroviario strategico, si svolse la battaglia più importante della Campagna conseguente lo Sbarco degli Alleati, non ha mai abbandonato del tutto l’abitato, anche in anni difficili, a fronte del disinteresse delle autorità, non solo comunali. Sferro, comunque, ha potuto giovarsi di una felice posizione dovuta alla insistenza, prima e alla vicinanza, poi, a importanti assi viari, la statale che collegava la Sicilia costiera a quella interna e l’autostrada CT-PA.

borgo-cascinoL’avvocato Virgillito ha riportato quanto da lui tentato a più riprese, non solo nella veste di amministratore in una delle Giunte passate, per valorizzare Sferro, fra gli altri luoghi del territorio paternese di rilevanza culturale, storica, paesaggistica, bensì dedicando molti dei suoi sforzi al borgo, nella consapevolezza di una specificità colpevolmente trascurata da amministratori locali chiusi nella miopia o cecità elettoralistica. L’impegno dell’avvocato Virgillito è ora diretto alla creazione di una sede della biblioteca comunale a Sferro, per cui sono già stati raccolti più di 4.000 volumi, frutto di donazioni di benemeriti. L’avv. Virgillito ha proposto una partnership all’I.P.A.A. “Santo Asero”, in modo che una o più classi dell’Istituto possano collaborare alla realizzazione di questo progetto aiutando nell’opera di catalogazione e archiviazione quanti lavorano a questo scopo. Il Dirigente Scolastico, prof. Silvio Galeano, ha assicurato l’adesione dell’I.P.A.A. al progetto.

Dopo la sospensione per la pausa-pranzo, i lavori sono ripresi alla 17,00, con qualche ritardo dovuto a inconvenienti tecnici. Il prof. Giudice ha introdotto la proiezione di un estratto di Fra Arcadia e Utopia, work in progress di Sebastiano Pennisi e Angelo Barberi. Da anni impegnati in un lavoro di documentazione della Sicilia del lavoro e degli aspetti sociali più diversi della storia e della cronaca ‘minore’, dalle lotte contadine al mondo delle miniere, dall’emigrazione che fece seguito all’esperienza della Riforma e sulla condizione degli zolfatari (vedi Chista vita chi si faciva barbara. Racconti di zolfatari siciliani, un volume di testimonianze raccolte da Angelo Barberi per le edizioni Sicilia Punto L di Ragusa, trascrizione delle interviste confluite in un documentario degli stessi autori sui minatori), dalla lotta alla mafia alla ricognizione di luoghi e personaggi di una Sicilia in via di sparizione, talvolta, senza essere mai entrata nel raggio visivo di intellettuali e più vasto pubblico, i due autori hanno sempre improntato la propria ricerca in maniera rispettosa nei confronti della realtà con cui si confrontavano, senza sovrapposizioni né distorsioni personali né politiche, sulla linea di quella maieutica praticata e non solo predicata da Danilo Dolci, cui Sebastiano Pennisi ha dedicato la tesi di laurea. In particolare, Pennisi, che ha all’attivo numerosi cortometraggi, un corpus vasto e articolato, bensì unitario nelle sue coordinate di fondo, che si qualifica per coerenza di impostazione e scelte tematiche e di stile, si è mosso lungo una sorta di crinale fra un passato, ormai, sbiadito per assumere connotati quasi mitici e una lettura dei dati reali al di fuori della retorica, delle convenzioni anche cinematografiche, dei riti e delle mode in auge. La democrazia come linguaggio, quindi, rimesso alle voci inascoltate e alle fenomenologie dell’indicibile di vittime o vinti, ancorché fuori da ogni stereotipo ratificato, come di un impossibile sogno di riscatto di persone che non rientrano nelle categorie censite e tavole di valori riconosciuti, figure rimaste ai margini o escluse dal campo di ripresa come dalle pagine scritte sulla Sicilia da autori, conterranei e non di Pennisi; e di luoghi come la Timpa di Acireale, esplorata con l’aiuto di alunni delle elementari in tutti gli anfratti mitologici, ambientali e umani. O ancora, come la penisola di Magnisi, l’antica Thapsos, punto di approdo dei primi Greci sull’Isola, su cui sorgono le raffinerie di Priolo, in un ‘doppio cieco’ fra le ciminiere fumanti e inquinanti e la memoria delegata alle inermi energie del profondo violato nella morfologia del visibile, che ricalca suo malgrado la persistente memoria di vicissitudini geo-mitologiche in cui è fissata archetipicamente la furia degli elementi come la violenza degli uomini.

In Fra Arcadia e Utopia confluiscono tutti i ‘filoni’ dei precedenti lavori di Pennisi e vi assumono consistenza unica le diverse direzioni lungo cui Pennisi ha articolato ciò che non si vorrebbe definire la sua visione, quanto il suo sguardo. Il nullpunkt in cui collassa il racconto storico-civile, il paesaggio come punto di non ritorno e lingua del profondo, il vanishing point di una realtà siciliana rimasta ai margini anche di quanti ne hanno indagato le pieghe della storia e del costume, emergono, qui, in modo potente per evocazione e capacità di coinvolgimento: proprio perché non esiste una memoria di questi luoghi, né letteraria né artistica né filmica né documentaristica, proprio perché sono disperse le tracce di un’esperienza che Pennisi e Barberi, rifuggendo da ogni ‘antropologia congetturale’, esaminano come archeologi che hanno pochi residui di un vissuto per ricostruire o suggerire quanto è sottratto, ormai, al mito e alla storia, ecco che il passato, il non luogo a procedere sulle inadempienze della storia e degli storici, sospeso e quasi, sottratto a memoria e immaginario, si colloca, appunto, Fra Arcadia e Utopia.

borgo-giulianoInfine, Sebastiano Gesù, fra i maggiori storici del cinema italiano, ha fatto di più che rendere un omaggio al cinema sulla Sicilia e alla Sicilia e ai documentaristi che, pure, ben poco, per non dire nulla, hanno raccontato della Sicilia dei borghi e della Riforma Agraria, ancorati a una visione della Sicilia che va, invece, integrata a questa storia non scritta né vista né raccontata. A parte poche sequenze de L’avventura, un viaggio ‘sentimentale’ in Sicilia fra le Eolie, Taormina e Noto, girate da Michelangelo Antonioni nel 1960 a Borgo Schisina, in provincia di Messina, villaggio intatto e abbandonato già a quella data; e a parte qualche rapida e quasi fortuita carrellata in documentari televisivi, peraltro, mai andati in onda, poco o nulla rimane. Certo, rimane la Sicilia e quello che di essa è affidato a immagini che fanno del cinema e del documentario le fonti pressoché esclusive di un immaginario contemporaneo che ha, appunto, nel cinema e nel documentario un “luogo” fra gli altri in cui, loro carattere precipuo, è il tempo a abitare fuori dei tempi della storia. A darne saggio, Sebastiano Gesù ha proiettato Mestieri di Sicilia, scene appositamente selezionate e assemblate per l’occasione tratte dai documentari realizzati fra gli anni ’20 e ’50 dal principe Alliata di Montereale, da Vittorio De Seta e Gianfranco Mingozzi: pescatori, lavoratori delle cave di pietra pomice, contadini, minatori: gesti dal sapore quasi liturgico e volti di donne e uomini in una luce ardente, ineguagliabile, da cui sono toccati come se essa volesse riconoscere in quelle immagini se stessa in forma umana, facendone icone eroiche, dolenti, ilari, incantate anch’esse, di una bellezza magica che ha commosso profondamente tutti coloro che hanno avuto la fortuna di assistere alla proiezione.

Al termine, sono intervenuti Pennisi e Barberi con note a voce in margine a Fra Arcadia e Utopia. Non rientrando nei tempi previsti, la proiezione di Ci credevamo, il documentario che Pennisi e Barberi hanno realizzato intervistando i superstiti della generazione che nell’immediato dopoguerra fu protagonista dell’occupazione dei latifondi nell’Ennese, lottando contro la repressione delle autorità e le intimidazioni della mafia baronale, è stata rimandata a sabato 21 maggio nell’aula magna dell’I.P.A.A. di Paternò.

prof. Rocco Giudice