Settimana della cultura e del libro 2018 promossa dall’Ipaa di Paternò

In occasione dell’edizione, per l’anno in corso, della “Settimana della Cultura e del Libro”, promossa dall’I.P.A.A. “Santo Asero” di Paternò e patrocinata dal Comune di Paternò (IV Commissione), avente la tematica di fondo dal titolo “Sicilia e sicilitudine”, nei giorni 20 aprile e 11 maggio, nella sala conferenze della Biblioteca Comunale “G. B. Nicolosi” di Paternò si sono svolti due incontri (rispettivamente “Sicilia e sicilitudine. Oltre la sicilitudine” e “Sicilia e sicilitudine. Codice siciliano e canone italiano nella storia, nella letteratura, nell’arte”) che hanno visto l’intervento di tre allievi della classe V sez. B del Liceo scientifico “A. Russo Giusti” di Belpasso: Emmanuele Consoli, Mariacristina Di Pietro e Salvatore Sciacca.

Il gruppo di lavoro, che ha operato sotto il coordinamento dei docenti curriculari prof. Rocco Giudice e prof.ssa Oriana Abate, hanno relazionato alla presenza di relatori provenienti da realtà accademiche e universitarie, focalizzando l’attenzione sul contesto storico-culturale della Sicilia novecentesca per introdurre il concetto di “sicilitudine” all’interno del dibattito letterario dell’epoca.

Dopo aver citato un passo delle “Verrine” ciceroniane (“De praetura Siciliensi”) in cui si afferma che “qualunque cosa possa accadere ai Siciliani, essi la commenteranno con una battuta di spirito”, gli allievi hanno menzionato l’etimologia del termine “sicilitudine”. Quest’ultimo, ricalcato sul termine del rivoluzionario marxista Frantz Fanon (“négritude”) ed erroneamente attribuito a Sciascia, è stato in realtà coniato dal poeta e pittore palermitano Crescenzio Cane, uno degli esponenti del movimento d’avanguardia dell’Antigruppo, che ha voluto esprimere il sentimento di emarginazione degli intellettuali siciliani rispetto agli stranieri negli anni ‘60 del Novecento.

Si ricorda il convegno del 1963 svoltosi presso l’Hotel Zagarella, vicino Palermo, in occasione della quarta “Settimana Internazionale di Nuova Musica”, convegno che vede la partecipazione di una trentina di intellettuali: questi ultimi intendono celebrare nuovi linguaggi estetici in contrapposizione alla superata tradizione neorealistica estranea alle nuove forme di comunicazione delle società capitalistiche tecnologicamente avanzate, aggregando le giovani leve culturali in una sorta di processo di ricambio generazionale.

Sul versante letterario, l’anno 1965 vede riunirsi il Gruppo ’63 a Palermo, all’Hotel Villa Igiea: gli intellettuali in quell’occasione danno luogo ad un dibattito, nonostante il senso di frustrazione degli uomini di cultura isolani abbia fatto vivere l’evento come un disconoscimento della realtà sociale e culturale dell’isola da parte di un’intellettualità indifferente all’esperienza di marginalità complessiva.

Se è vero che l’espressione “sicilitudine” si utiliza spesso per rivendicare una specificità della letteratura siciliana e della cultura isolana, tuttavia essa non può che essere metafora di una condizione esistenziale di valenza universale.

I maggiori letterati del Novecento siciliano, da Giovanni Verga a Luigi Pirandello, da Antonio Borgese a Elio Vittorini e Leonardo Sciascia, raccontano in realtà un storia collettiva, pur ambientando le loro commedie umane in questa terra caratterizzata d un’inesorabile miscela di fatalismo e leggerezza.

In particolare, “La Sicilia come metafora” è una formula che si può trarre dal titolo del libro-intervista della giornalista Marcelle Padovani, risultato di una conversazione sulla Sicilia con il recamultese Leonardo Sciascia, che manifesta a pieno il suo rapporto contraddittorio con la sua terra e sottolinea la “difficoltà di essere siciliani”, quando critica “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. La Sicilia del Principe di Lampedusa è una semplice fantasticheria geografico-climatica da cui deriva l’ennesima astrazione dell’ “uomo del sud”: Sciascia non condivide l’astoricità e la refrattarietà del siciliano gattopardiano, perennemente condannato ad un ruolo assegnatogli dalla società, oltre all’immobilismo atavico dei siciliani e dei mutamenti storico-sociali, piuttosto servirebbe considerare le dominazioni straniere, dagli arabi agli spagnoli.

D’altra parte, invece, Sciascia diventa paladino della giustizia contro chi vede in Luigi Pirandello un effimero fenomeno di moda, nei cinque saggi sullo scrittore agrigentino: lui tenta persino di liberarlo dal “pirandellismo” ovvero dalle istanze filosofiche entro cui Pirandello è stato rinchiuso. Al contrario, per Sciascia il grande autore del Novecento riesce a decollare dalla Sicilia verso “spazi vertiginosi”, grazie alla sua centralità , non sicilitudinaria e neppure italiana.