Conclusa la settimana della cultura e del libro All’I.P.A.A Santo Asero di Paternò, sede coordinata dell’I.I.S. Francesco Redi

Con la III edizione di "Hair & Make Up Night", svoltasi a piazza Indipendenza, a Paternò, il 20 maggio, a cura del corso Operatore del Benessere, si è conclusa

Con la III edizione di “Hair & Make Up Night”, svoltasi a piazza Indipendenza, a Paternò, il 20 maggio, a cura del corso Operatore del Benessere, si è conclusa la Settimana della Cultura e del Libro dell’I.P.A.A. “Santo Asero”, sede coordinata dell’I.I.S. “Francesco Redi.”
Quest’anno, la rassegna si è articolata in sei giornate, che hanno avuto inizio mercoledì 22 marzo con la partecipazione all’incontro, tenutosi nell’Aula Magna della Scuola Media Statale “G.B. Nicolosi”, in cui è stato rievocato un episodio della Resistenza trascurato dalla storiografia ufficiale, dalla pubblicistica a più larga diffusione e dalla memoria collettiva: la vicenda di 44 Internati Militari Italiani (IMI) in Germania che, deportati in vari campi di concentramento dopo l’8 settembre 1943, si rifiutarono di collaborare con i propri aguzzini e si offrirono volontari per essere fucilati al posto di 21 compagni scelti dai nazisti per una decimazione con cui spingere gli altri internati a lavorare per il Reich. Fra i 44 volontari (su 214 ufficiali e sottufficiali condotti al lavoro a Dededelstorf e messi di fronte alla scelta fra collaborazione o rappresaglie e successivamente, condotti nel campo di punizione di Unterlüss, dove 6 dei 44 morranno per le privazioni e vessazioni subite), la Sicilia era la regione più rappresentata del nostro Paese, con 8 siciliani, fra cui il paternese Anselmo Rizzo e il biancavillese Settimo Leanza.
La rievocazione di questo episodio da parte degli istituti scolastici di Paternò nasceva da una proposta della sezione paternese del Lions Club di Paternò, che, per iniziativa del suo presidente, il geom. Sebastiano Garifoli, ha coinvolto alunni e docenti in un riflessione comune, che ha trovato occasione nella pubblicazione di un libro, “Gli eroi di Unterlüss” (Mursia), del giornalista Andrea Parodi, nipote di un deportato I.M.I a Unterlüss, che solo per caso ha avuto modo di scoprire, qualche anno fa, i trascorsi della prigionia di uno zio, fra i protagonisti di questa vicenda dimenticata. All’incontro, tenuto alla “G. B. Nicolosi”, coordinato dalla giornalista Mary Sottile, dell’emittente Ciak Telesud, prendevano parte le classi I B, corso Operatore del Benessere e III A, del corso per l’Agricoltura del “Santo Asero”, che hanno avuto modo di apprendere i contorni essenziali di questo episodio di eroismo dalle parole del geom. Garifoli, del dott. Giambattista Caruso, nipote di Anselmo Rizzo e dell’avvocato Francesco Sparpaglia, reduce dai campi di prigionia in Germania. L’avvocato Sparpaglia ha ripercorso le tappe della traversata della realtà  tragica della guerra e della prigionia, una detenzione durata anni. Con i suoi 90 anni splendidamente portati con l’entusiasmo di chi è scampato alle condizioni durissime della deportazione in svariati campi disseminati per l’Europa e della prigionia, ma anche alle vicissitudini successive alla liberazione a opera dell’Armata Rossa, tutt’altro che animata da tenera sollecitudine verso gli italiani, ex nemici non certo amati e comunque, trattati col rigore e la durezza sovietica, sottoponendo gente debilitata a estenuanti marce, l’avvocato Sparpaglia ha appassionato e emozionato tutti raccontando in maniera non vittimistica, ma ironica, commovente proprio perché animate da una pietas umana ancora pervasa dei vent’anni cui l’avvocato sembra rimasto, capace di stupirsi di fronte alla vita amandola in ogni circostanza, oggi come allora: da questo amore, si può crederlo, l’avvocato è stato salvato. La travolgente carica di umanità  lasciata da un’esperienza cui l’avvocato Sparpaglia è sopravvissuto fisicamente e nello spirito, ha offerto a studenti e docenti qualcosa che raramente è dato aspettarsi di questi tempi anche di fronte a situazioni di gran lunga meno drammatiche: una testimonianza di liberatoria speranza e di voglia di resistere, non in omaggio al solo istinto di sopravvivenza, in ottemperanza alle leggi inscritte nella biologia, ma in risposta convinta, di incondizionata adesione a una vocazione alla gioia di vivere che è stata, per tutti coloro che l’hanno ricevuta, una preziosa lezione di vita, di civiltà e di dignità.

Successivamente, giovedì 6 aprile, le stesse classi, III A e I B, hanno  partecipato all’incontro con  rappresentanze degli istituti scolastici di Paternò ospitato all’auditorium dell’S.M.S. “Don Milani”, presente, con autorità  cittadine e scolastiche, l’autore del libro, Andrea Parodi. Dopo gli interventi di autorità cittadine e scolastiche, del geom. Garifoli, che siè felicitato per il successo di un’iniziativa il cui valore è stato fin dall’inizio chiaro ai responsabili del Lions Club, del dott. Caruso, che ha tracciato un profilo biografico di Anselmo Rizzo e quello dell’autore del libro, Andrea Parodi, che, di fronte all’avv. Sparpaglia e all’ultimo dei 44 ancora in vita, l’abruzzese Luciano Montagano, ha ricostruito con l’aiuto di  slide i fatti narrati nel libro, le circostanze che lo hanno indotto a scriverlo, gli aspetti che permettono di spiegarli e insieme, le ragioni del silenzio sceso, del resto, non solo sui 44 eroi di Unterlüss – che hanno rimosso anche dalla memoria privata quanto occorsogli -, con un discorso pubblico, cioè, politico, oltre che storiografico, non ancora concluso sulle pagine controverse della storia relative alla seconda Guerra Mondiale e alla Resistenza. Gli istituti scolastici, medie sia di I che di II grado, hanno, quindi, illustrato il contenuto dei gruppi di lavoro che hanno riflettuto sugli eroi di Unterlüss. Purtroppo, nel momento riservato all’intervento dell’I.P.A.A., inderogabili ragioni orarie hanno imposto di abbandonare i lavori. E’ stato il prof. Giudice a giustificare la defezione in corso d’opera e a manifestare il rincrescimento di docenti e studenti dell’I.PA.A.A., consegnando alla presidenza dei lavori la relazione prodotta da docenti e studenti delle classi coinvolte. Di essa mette conto riportare qualche passo, non senza echi della crociana religione civile della libertà  (riassumibile nella formula per cui la storia ci insegna a essere liberi):

“(…) Siamo abituati a ritenere che chi non reca alcuna minaccia armata non è, a rigore di termini di guerra, un combattente: ma, a rifletterci bene, in una guerra cui l’ideologia è stato un motore fra i più potenti nel preparare e scatenare la violenza, gli eroi di Unterlüss facevano guerra all’idea stessa della guerra: era come se dicessero: se noi vogliamo salvare la vita dei nostri compagni, non è per distruggere la vostra. A quello pensate da soli. Era una lezione di coraggio e di umanità  che, certamente, non sperava di disarmare i violenti, ma metteva i violenti di fronte a se stessi, a una violenza senza scuse: non c’era più nè la ragione per combattere nè il nemico contro cui combattere. Contro l’eroismo di chi offre la propria vita per quella di chi è condannato, l’eroismo di chi è disposto a uccidere è ben poca cosa e ha già  perduto. (…)
Ogni volta che i prigionieri sono stati chiamati a scegliere, hanno agito in libertà  e per i valori che da essa derivano: la vita, la dignità , il disinteresse spinto fino alla negazione di sé. Questo ci fa comprendere come la libertà  sia il valore supremo perché dà  valore a tutti gli altri valori etici: senza di essa, non valgono nulla nè la giustizia e l’ossequio delle leggi nè la bontà  in nome del primato del Bene e dell’umanità  nè la lealtà  dovuta alla sovranità esercitata dai poteri legittimamente costituiti nè il rispetto dell’individuo. Per chi è abituato a ritenere che essa sia un diritto naturale, qualcosa di dovuto e di scontato e cioè, di gratuito, la libertà  ci appare come una conquista che dobbiamo alle generazioni che ci hanno preceduto: e uomini che l’hanno esercitata di fronte a un plotone di esecuzione lo dimostrano nel modo più concreto perchè gli si possa dire anche a distanza di tanto tempo: “Grazie!”

Giovedì 27 aprile, le classi II B e III A, IV A e V A si sono recate a Palazzo Biscari, di Catania, dove si è  svolto il terzo degli appuntamenti della Settimana della Cultura e del Libro: “Storie di donne e donne nella storia  della Sicilia del  Medioevo”, incontro a tema storico con drammatizzazione, laboratori a cura dell’Associazione Culturale  L’Elefantino, di cui è anima e corpo recitante Stefania Bonifacio, appassionata studiosa di storia, quella della nostra Sicilia in primo luogo e promotrice di un approccio innovativo rispetto alla didattica ‘tradizionale’. Formatasi con Santi Correnti, Stefania Bonifacio ha sperimentato questa metodologia nel corso degli ultimi anni, che l’hanno vista collaborare  con istituti scolastici di I e di II grado, riscuotendo consensi crescenti da parte di docenti e alunni, i primi, felici di trovare una alternativa alle lezioni frontali o anche di gruppo, bensì condotte in aule e laboratori senza che la partecipazione degli alunni assuma un ruolo attivo che vada al di là  della cornice di pareti, pagine, display; i secondi entusiasti di essere parte attiva che gli permette di ‘vivere’ e fare riviere personaggi e storie, peraltro, non tutti al centro della “grande storia” e dell’interesse della manualistica. Lezioni e laboratori con drammatizzazione annessa hanno come location in palazzi, dimore storiche, castelli e luoghi cari alle memorie letterarie: a parte Palazzo Biscari, la Masseria Primosole, Castello degli Schiavi, a Fiumefreddo di Sicilia, Palazzo Germanà, a Brolo, Palazzo Milio, a Ficarra, palazzo Salleo, a Sinagra. Inoltre, Stefania Bonifacio ha realizzato ‘interviste impossibili’ a figure storiche quali Federico II, Ignazio Paternò Castello, o Eleonora d’Angiò, ma anche a personaggi minori o popolane, reali o trasfigurate dalle leggende popolari, come Cameola Turingia, Jana di Motta, Dina e Clarenza, o Gammazita. Stefania Bonifacio ha coinvolto docenti e studenti in una lezione interattiva che ha visto impegnati, nel ruolo di personaggi quali Bianca di Navarra, Jana di Motta, sua damigella e confidente, l’ammiraglio Sancho Ruiz, suo paladino, il Gran Giustiziere del regno Bernardo Cabrera, innamorato pazzo di Bianca e del potere, le alunne Esmeralda Messina (II B), Melania Azzolina (III B), Alessia Petralia (III A) e Orazio Conigliello (V A). E’ stata rappresentata, così, la beffa con cui Jana, travestita da paggio, entrò al servizio di Cabrera, recluso nel castello di Motta, per convincerlo a tentare un’evasione vestendosi da contadino e calandosi dalla finestra della cella. Tutto era proceduto come da programma: sennonché, a metà  discesa, mollata la corda cui era legato, il Gran Giustiziere rovina per terra e indolenzito, viene scoperto, il mattino, seguente dai contadini, che si prendono gioco di lui. La lezione e l’interpretazione hanno catturato l’attenzione di tutti e assorbito il tempo a disposizione, così che non è stato possibile visitare palazzo dei conti Biscari di Paternò (settecento stanze, sarebbe stata una bella impresa anche a dedicarle l’intera mattina), imponente e sontuosa dimora barocca di una fra le famiglie più antiche dell’aristocrazia non solo italiana.

Mercoledì 10 maggio, nella sala conferenze della biblioteca comunale di Paternò, ha avuto luogo l’incontro, cui hanno partecipato tutte le classi dell’Istituto, su “Mafia e immaginario mafioso nel cinema, nelle fiction televisive, nei media.”
Sono intervenuti di Cirino Cristaldi, autore del La mafia e i suoi stereotipi televisivi, Bonfirraro editore; Tino Vittorio, docente di Storia Contemporanea presso la Facoltà  di Scienze Politiche dell’Università  di Catania, autore de La mafia di carta, Carthago edizioni; di Giuseppe Puglisi, responsabile di rassegne cinematografiche. A introdurre i lavori, il Dirigente Scolastico dell’I.PA.A., prof. Silvio Galeano, che le manifestazioni della Settimana della Cultura e del Libro ha sostenuto con convinzione. Il Dirigente Scolastico ha spiegato come l’Istituto sia impegnato già  da qualche anno in un complessivo rinnovamento delle proposte di didattica e di riflesso, nella ridefinizione del ruolo che esso svolge nel comprensorio. Le collaborazioni con l’Amministrazione comunale di Paternò e con club-service come i Lions offrono la riprova e costituiscono uno stimolo a continuare su questa strada. Un rinnovamento che vale anche per le altre sedi coordinate dell’I.I.S.
“Francesco Redi”, l’I.P.S.I.A “Efesto” di Biancavilla, il Liceo Scientifico “Antonio Russo Giusti” e l’I.T.I.S. “Galileo Ferraris” di Belpasso. Da notare che gli studenti del “Galileo Ferraris”, nell’ambito dell’Alternanza Scuola-Lavoro, sono stati chiamati a collaborare alla gestione dei supporti informatici aeroportuali in occasione dell’arrivo delle delegazioni che hanno partecipato all’incontro del G7 svoltosi a Taormina il 26 e 27 maggio: riconoscimento di una eccellenza che va a onore di docenti e alunni dell’I.T.I.S. Cirino Cristaldi ha esposto i contenuti della sua puntuale, certosina ricognizione delle opere cinematografiche e delle fiction televisive dedicate alla mafia, con gli stereotipi da esse veicolati e perpetuati. A riscontro ha illustrato i risultati di un sondaggio, riportati nel libro edito da Bonfirraro, dallo stesso Cirino condotto su un campione di 100 stranieri divisi per nazionalità : statunitensi, tedeschi, turchi, rumeni e italiani, con risposte che avvalorano tutti i miti connessi e correnti sulla mafia come sinonimo/sineddoche della Sicilia. Una costruzione mitologica da cui ci si stenta a liberare perché l’immaginario sulla mafia e sulla Sicilia, che tendono a sovrapporsi, costituisce un repertorio cui attingere per garantire il successo di produzioni anche di bassissimo profilo.

L’intervento del prof. Tino Vittorio era incentrato sul rapporto fra mafia di carta e mafia di carne ovvero sul divario fra la realtà  criminale e le sublimazioni dell’immaginario letterario e giornalistico vigente intorno a quella che è stata assurta a categoria dello spirito ‘assoluto siciliano’, che fa aggio anche sui dati storicamente certificati e produce distorsioni che investono – paradossalmente, come gli effetti inquinanti del fenomeno delinquenziale che combattono – opinione pubblica, mondo dell’informazione, partiti politici e settori della magistratura (e del lavoro, si potrebbe dire, se pensiamo ai ‘professionisti dell’antimafia’ deplorati da Sciascia). “La mafia esisteva prima dell’avvento del cinema e nessuno diventa mafioso perché si identifica con un boss, come nessuno diventa cowboy a furia di vedere film western”, ha sostenuto il prof. Vittorio, che, autentico one man show sia su carta che in carne e ossa, ha magnetizzato l’uditorio. Il prof. Vittorio ha bensì riconosciuto che la mitologia mafiosa svolge un ruolo importante nella percezione che la mafia ha di sè o ama proiettare come onnipotente e onnipervasiva struttura di potere con una sua specifica ideologia di Stato nello Stato: ma che la sovrastruttura giochi un ruolo nella comunicazione che innesta fenomeni di inculturazione mafiosa recepiti anche al di fuori della Sicilia, offrendo un archetipo a fenomenologie criminali analoghe in altri parti d’Italia e del mondo, non ha nulla a che vedere con i meccanismi che producono una violenza e una forma di gestione della violenza che ha radici storiche e sociali individuabili con buona approssimazione. Il prof. Vittorio ha, quindi, ripercorso a grandi linee l’evoluzione della mafia parallelamente alle trasformazioni sociali e politiche del nostro Paese così come si prospettavano dall’angolo di visuale della Sicilia, concentrando l’attenzione sul secondo dopoguerra, sul contesto internazionale e sulle dinamiche politiche interne, con illuminanti e puntuali, ancorchè necessariamente en passant, richiami a storici e sociologi della levatura di Eric Hobsbawm, Henner Hess, Anton Blok, Emilio Sereni.
L’intervento del prof. Vittorio innescava un dibattito a più voci, proseguito dopo la proiezione di una parte del documentario “In un altro paese”, di Marco Turco, che rifà  la storia della mafia siciliana dal secondo dopoguerra alla ‘stagione stragista’ degli anni Novanta.
Dal documentario ha preso spunto l’intervento di Giuseppe Puglisi, che, non potendo dar fondo a un argomento così denso, si è limitato a incursioni ‘a campione’ sulla cinematografia italiana, privilegiando, in particolare, la particolarmente rigogliosa fioritura del genere negli anni Settanta. Una filmografia capace di rendere, per quanto di scorcio e occasionalmente, anche nei b-movie, testimonianze attendibili sui mutamenti di linguaggio e perfino, di carattere antropologico, non solo all’interno dell’universo cinematografico.

Sabato 13 maggio, in collaborazione con il Lions Club di Paternò, si è svolto l’incontro sul tema “Paesaggio, campagna, giardino nella storia dell’agricoltura, nella letteratura, nella filosofia, nell’arte”, aperto a tutte le classi dell’I.P.A.A. e alla cittadinanza.
Nell’indirizzo di saluto, il Sindaco di Paternò, prof. Mauro Mangano, ha ribadito l’interesse con cui l’amministrazione comunale da lui presieduta ha seguito con interesse le iniziative culturali dell’I.P.A.A. “Santo Asero”. Il sindaco ha sottolineato come non si tratti solo di una collaborazione/condivisione rimessa alla validità  di proposte didattiche con ricadute sul ‘sociale’, ma del riconoscimento, innanzi tutto, dell’importanza che la formazione a quanto più ampio raggio di agronomi sia una necessità  e un interesse strategico nella trasformazione del settore agricolo, che riveste una funzione trainante per Paternò e il comprensorio etneo. Peraltro, nel quadro del riassetto delle linee ferroviarie che attraversano il territorio comunale, i sindaci di Paternò e Centuripe hanno chiesto che fra le opere compensative a risarcimento dell’uso del territorio, con la promozione e valorizzazione della produzione agricola e in funzione di essa, siano ristrutturati il borgo di Sferro, la frazione di Cubba e le stazioni delle Ferrovie dismesse, da riconvertire come strutture ricettive di supporto alle piste ciclabili. Il Presidente del Lions Club di Paternò, dott. Sebastiano Garifoli, ha chiarito come la partecipazione all’incontro e la promozione a iniziative intraprese anche con l’I.P.A.A., sulla base della disponibilità  manifestata dal Dirigente Scolastico e singoli docenti, corrisponda a un impegno fissato statutariamente dall’Associazione, impegnata nella valorizzazione e promozione del paesaggio come elemento fondativo e fattore costitutivo dell’identità culturale. Il Lions Club di Paternò ha intrapreso da tempo un’azione di recupero della memoria storica e di lavoro comune con vari soggetti istituzionali presenti sul territorio per conservare, trasmettere e arricchire il patrimonio culturale, di beni materiali e immateriali che concorrono a formare l’eredità complessiva dell’area.
Quindi, è intervenuto l’architetto Luigi Longhitano, che ha tracciato le coordinate di fondo del “L’evoluzione storica del paesaggio agrario”, con particolare attenzione alla Sicilia, dall’epoca della conquista romana, con la divisione in lotti dei terreni assegnati ai legionari in congedo (centuriatio), ricalcando la pianta degli accampamenti militari. L’excursus dell’architetto Longhitano attraversava a grandi passi i mutamenti storici intervenuti nella configurazione e nella percezione ‘estetica’ del paesaggio, che trova una prima espressione legislativa nella definizione fissata nel Real Patrimonio di Sicilia del 21 agosto 1745 a opera del viceré di Sicilia Bartolomeo Corsini, che impose la conservazione dei siti archeologici di Taormina e insieme, dei boschi del Carpineto, che comprende il Castagno dei Cento Cavalli. Sarà  la legge 431 del 1985 a segnare il passaggio da una concezione ‘estetica’ a una definizione fondata su dati fisici e oggettivi. La ricognizione del passato remoto e prossimo
del paesaggio condotta dall’architetto Longhitano ha poi prospettato il “futuro del paesaggio”, con una integrazione crescente fra spazio abitato e spazio coltivato: le città-giardino, la nascita dei ‘boschi verticali’, la costruzione di insediamenti integrati in un unico
tessuto alle aree verdi, continuum fisico e anche estetico, se rispondono alle esigenze di un impatto zero sul consumo dei suoli, dall’altro postulano nuove forme di linguaggio che corrispondano a una antropologia così profondamente segnata dall’intersecare la fisionomia
ambientale.

L’intervento dell’architetto Anna Maria Caruso, “I giardini paradiso, dalla Persia alla Sicilia: simboli, identità , metafore”, ha preso avvio dai primi giardini di cui si ha notizia, sorti nella Mesopotamia sumera: alcune tavolette d’argilla narrano di giardini paradisiaci (la parola che li indica in sumero-accadico è pardeshu), diremmo, se la ‘patria’ del giardino, della sua struttura e funzione (simbolico-religiosa, ma anche politica, come status-symbol di un dominio assoluto), non fosse la Persia, dal momento che l’etimologia stessa di paradiso, giardino protetto da mura, rinvia alla lingua persiana (pairi-daeza). Tuttavia, sembra incontestabile che i primi giardini siano sorti a opera delle civiltà mesopotamiche, assumendo, tramite la mediazione assiro-babilonese, almeno alcuni dei caratteri con cui lo conosciamo, stanti le testimonianze archeologiche e letterarie, dall’epopea di Gilgamesh (2.700 a.C.) in avanti. Ma sarà  la Persia pre-islamica a ordinare in forma canonica, a offrire il modello archetipico del giardino, con la ripartizione quadripartita del terreno (che risale al 2.000 a.C.), in cui il giardino come microcosmo, speculum mundi, rispecchia i quattro elementi (terra, acqua, aria, fuoco) che lo costituiscono, con viali alberati, padiglioni, fontane. Ciro Il Grande fece costruire il proprio giardino a Pasargade, capitale del suo impero: disposto secondo una pianta geometrica solcata da viali, canali, boschetti irrigati, fiori, fra cui primeggiavano gigli e rose e alberi d’ornamento e da frutto, spiccando su tutti cipressi, melograni e ciliegi, il giardino di Ciro il Grande diventerà  il modello cui si ispireranno altri celebri giardini d’Oriente, come quello annesso al Taj Mahal, in India. In seguito, il giardino si arricchirà  di sempre nuovi apporti, come gli interni e le coperture esterne delle cupole delle moschee immerse nei giardini tappezzati di piastrelle decorate
con intricati motivi floreali. Il giardino islamico reinterpreta la simbologia ereditata dall’antica Persia: vi si accede da quattro ingressi (i punti cardinali), è sezionato in quattro parti (gli elementi già  menzionati), l’acqua della vasca al suo centro (modulo che si ritrova nelle moschee, nelle abitazioni private, nei caravanserragli, nei bazar) evoca con le onde il movimento di espansione e contrazione della creazione divina, lo stesso movimento che, sotto l’azione di quel soffio, anima il cosmo e insieme, si riflette nella coscienza del credente, corpo che custodisce un’anima che riveste uno spirito. La Sicilia araba sarà  il centro di una “rivoluzione agraria” fatta di una redistribuzione delle terre che pone temporaneamente fine al latifondo, di nuove colture (gelsi e connessa industria della seta, agrumi, carciofi, melanzane, cotone, canna da zucchero) e nuove tecniche di coltivazione e irrigazione. La skyline della Palermo islamica che rigurgita di cupole e verde urbano continuerà a sobbollire anche con la Reconquista a opera dei Normanni, che faranno edificare la Zisa, la Cuba Soprana e la Piccola Cuba, palazzo dell’Uscibene. Ne trarrà  impulso l’architettura non solo di giardini che risalirà la penisola, innestandosi sull’eredità  antica e medievale per dare forma al giardino italiano, punto di partenza di una evoluzione su cui procederanno le vie nazionali alla villa con giardino nell’Europa post-rinascimentale.

Compito piuttosto arduo quello, brillantemente assolto, affidato alla prof.ssa Danela Costa, docente di Incisione Calcografica all’Accademia BBAA di Catania, cui era chiesto illustrare ai docenti non meno che ai discenti le diverse e peculiari espressioni del paesaggio nell’orizzonte artistico il persistere del paesaggio nell’orizzonte artistico, trascorrendo da un’arte mimetica, figurativa, iconica a un’arte non mimetica né figurativa, aniconica, informale, astratta, polimaterica, ecc… A partire dalla scoperta della prospettiva, forma della visione anti-naturalistica del mondo, consegnataci esemplarmente da artisti come Botticelli, la prof.ssa Costa mostrava il passaggio alla prospettiva area di Leonardo, che scardina la fenomenologia della percezione estetica nella sua espressione paradigmatica e normativa. Diversissimi, Botticelli e Leonardo, ma coevi entrambi, a dimostrazione del fatto che l’arte non obbedisce a logiche care allo storicismo legiferante anche in sede artistica: e coevi entrambi di Hieronymus Bosch, con le sue visioni proletticamente ‘surrealiste’, che, tuttavia, discendono dal più remoto gotico, per scompaginare, una volta di più, gli indici di uno storicismo dell’arte pianamente dispiegata nel suo convenire a passo di marcia verso la modernità. La prof.ssa Costa ha, dunque, fissato le tappe fondamentali di un ductus che dipana le diverse correnti dell’arte senza fossilizzarle in categorie finalizzate al superamento dei limiti percettivi, critici, tecnici, stilistici come dati in subordine: quasi che Barocco, Classicismo, Romanticismo, Impressionismo, Espressionismo, Pointillisme, ecc… fossero momenti preparatori, sigle profetiche sparse per annunciare una rivelazione cui tutti, dai primitivi a Turner, Cezanne, Monet, Renoir, Seurat, Vam Gogh, Gauguin, Picasso, De Chirico, Magritte, ecc… brancolavano ciecamente. Certo, vi sono momenti cruciali, svolte irreversibili da cui l’arte non può più recedere: quando Lucio Fontana accoltella la tela (evento sacrificale con cui adempie la “morte – violenta – dell’arte”, inaugurando resurrezioni e reincarnazioni impensabili), lacerando il diaframma fra spazio dentro e fuori il quadrato magico della pittura, sfondando la ‘quarta parete’ o retroscena del teatro dell’io e del mondo, la superficie riflettente deve (ri)trovare la luce oltre di sé. In ultimo, approdo estremo quanto provvisorio di questa quete, assistiamo all’esito dello sfondamento dei confini fisici e concettuali della pittura con la Land Art, che fa del territorio, insieme, lo strumento e la cornice/contesto operativo, la materia prima e il supporto fisico dell’artificio, destinato a disperdersi nell’ambiente; e all’opposto, come arte a impatto zero, l’Arte Ambientale, che non altera se non visivamente e solo per spingere la mimesis ai limiti della fusione con l’ecosistema – l’arte, che abita il paesaggio con le proprie architetture sacre, ‘abita’ ed è abitata dalla natura. Come esempi di artisti in cui l’opera della natura e l’opera dell’uomo coesistono o concorrono a costituire l’habitat entro cui si colloca ogni tensione conoscitiva, la prof.ssa Costa indicava Alberto Burri, con il Cretto di Gibellina, Spiral Jetty, di Robert Smithson, per la Land Art: Joseph Beuys, con la sua opera 7.000 querce e le Cattedrali verdi di Giuliano Mauri, per l’Arte Ambientale.

Il prof. Salvatore Valastro, del Liceo Classico “Gulli e Pennisi” di Acireale, ha preso spunto dal Leopardi dello Zibaldone: “Entrate in un giardino… Voi non potete volger lo sguardo in nessuna parte che voi non vi troviate del patimento (…) Il dolce miele non si fabbrica (…) senza strage spietata di teneri fiorellini”(22 aprile 1826). Da questo centro ideale del discorso, il prof. Valastro ha intrapreso un itinerario a tappe forzate nei giardini letterari che, analetticamente, ha il punto d’avvio obbligato nell’Eden in cima al Purgatorio dantesco. Quindi, reso omaggio al paesaggio onirico-idillico di Petrarca, il prof. Valastro si è soffermato sul giardino delle delizie della villa in cui Boccaccio mette al sicuro la lieta brigata di ragazze e ragazzi, descritto nell’introduzione alla III giornata del Decameron. Ed è un giardino con tutti i crismi dell’opera architettonica nell’orditura di strade, pergolati, fontane. Lo stesso “edonismo paesaggistico”, per il prof. Valastro, che presiede al giardino d’Armida, nel XVI canto della Gerusalemme liberata: “Di natura arte par, che per diletto/l’imitatrice scherzando imiti”: contrappunto/contrappasso  dell’imitazione/contraffazione da cui rifugge, Tasso ribalta il rapporto fra natura e cultura del giardino decameroniano, paradiso in terra a norma di naturalismo aristotelico, per farne l’immagine di un biblico paradiso babelicamente usurpato e perciò, sede di inganni e malefici. Contrae lo stesso debito con Boccaccio l’Ariosto del giardino di Alcina, nel VI canto dell’Orlando furioso, ma con un gamma di reminiscenze, da Petrarca a Virgilio, consentita dall’estraneità all’intento polemico sotteso al rigoglioso impero della natura senza freni, bensì evocato per esorcizzarne le seduzioni nella visione controriformistica di Tasso. Pi ùvicino a noi nel tempo e nello spazio, il giardino di Mangalavite del Mastro-don Gesualdo, luogo da cui nessuna evasione è possibile: non dalla prigione del sogno, stavolta, ma dalla realtà veristicamente costretta dalle dure necessità  materiali. L’inganno di Armida si palesa a Mangalavite nella delusione patita da Isabella, la figlia di Mastro-don Gesualdo Motta, che rinnega il padre, stregata dal lusso cittadino e abbagliata dai pregiudizi sociali: decisamente, la campagna non è il Parco della Favorita di Palermo, con “i grandi alberi dei viali tenuti come tante sale da ballo.”

Le allegorie incrociate sovrappongono, nel gioco di contrapposizioni strutturali, Armida e Isabella, Tasso, Ariosto e Verga, tracciando una sorta di labirinto dei sentieri intertestuali incrociati in cui nessuna via è d’uscita. Lo dimostra Il gattopardo – e restiamo in Sicilia, terra dove prima che altrove i giardini fiorirono a Occidente -, in cui l’impossibilità  di riportare entro lo stesso discorso, a una stessa matrice e mappa ideale il giardino lineare di Boccaccio e quello circolare di Tasso sembra innescare il dispositivo di una mortale dissimmetria: in apertura del romanzo, troviamo il cadavere del soldato venuto a morire laddove si perpetua e propizia l’immagine del luogo in cui cresce l’Albero della Vita. Questa parabola è inverata nel Giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani  (patrocinatore della causa di beatificazione editoriale dell’anti-storico e ‘reazionario’ Gattopardo), circondato da un muro che sarà  scavalcato dal protagonista: che, prendendo spunto da un ricordo suscitato dalla visita alla necropoli etrusca di Cerveteri, rievocherà  quel paradiso, custodito da una famiglia di ebrei, che cela l’immagine, a suo modo, alcinesca dell’inferno che attende chi, finendo nei campi di concentramento, sconterà l’inganno con cui si illudeva di proteggersi dal mondo: la paura delle malattie che tiene a casa i figli dei proprietari adombra la fuga dalla peste del Decameron: ma con un esito modernamente fuori dei termini della letteratura come vero locus amoenus.

A conclusione della sessione mattutina dei lavori, l’intervento del prof. Vincenzo Tomasello, docente di Filosofia al Liceo Classico “Gulli e Pennisi” di Acireale, si offriva come una riflessione che riprendeva alcuni dei temi incontrati nelle relazioni precedenti: dunque, una dimostrazione in tempo reale della filosofia come catalizzatore o elemento che ricomprende ogni discorso in ciò che lo sostanzia dandogli forma, cioé, il pensiero. Vale per l’articolo 9 della Costituzione, citato in apertura del proprio intervento dall’architetto Longhitano, laddove si sancisce che la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico dell’Italia; l’Italia che coincide con il suo paesaggio, rifacendosi a quanto Goethe, anch’esso richiamato dal prof. Longhitano, scriveva in occasione di quel viaggio (effettuato fra il 1786 e il 1788) che avrebbe fatto da apripista al Grand Tour come complemento dell’educazione del gentiluomo del Nord. Riprendendo, poi, Petrarca, citato dal prof. Valastro, il prof. Tomasello gli riconosceva la primogenitura dell’idea moderna di paesaggio come proiezione e contesto/cornice della narrazione di sè e in funzione della presenza umana, cioé a dire, dell’esserci come sentimento dell’altrove, affermava il prof. Tomasello sulla scorta di Heidegger, gran camminatore non in senso aristotelicamente peripatetico, ma come infaticabile, ma anche ambiguo, esploratore di sentieri interrotti.
Pensare, esplorare: spazio fisico e spazio mentale: entrambi si saldano nell’idea di testo, il territorio e il paesaggio come testo scritto – l’idea che affiora dalle chiare fresche e dolci acque di Petrarca – e da scrivere: ma per leggerlo, nella sua sintassi e nei suoi significati, come la scuola dovrebbe insegnare a fare. Tanto più che il paesaggio è un’invenzione moderna, da Petrarca a Jean-Jacques Rousseau, che ne ha fissato il valore di modello etico-politico rispetto al valore d’uso mitologico ricoperto nel mondo classico. Il territorio come patrimonio comune e garanzia dell’identità usurpata dagli arbitri della storia, proprio in ordine al valore di Bene esteticamente fruibile viene chiamato a svolgere il ruolo di categoria politica o bio-politica. Come tale, esso non può essere appannaggio di un partito o di un movimento, che ne faccia bandiera di una sorta di nobile interesse corporativo, ma deve diventare il fondamento di una cittadinanza che vada al di là  delle appartenenze particolari.

Nel pomeriggio, un pubblico ristretto di eletti ha assistito alla proiezione della versione definitiva del documentario “Fra Arcadia e Utopia. I borghi della Riforma Agraria”, di Angelo Barberi e Sebastiano Pennisi, un trailer del quale era stato proposto nella scorsa edizione della Settimana della Cultura e del Libro. Il documentario è il risultato di un lavoro condotto contando sulle proprie risorse, senza alcun sostegno pubblico o sponsorizzazione, dai due autori, che hanno collaborato alla realizzazione di altri documentari, come “Chista vita ca si faciva barbara”, sui minatori siciliani. “Fra Arcadia e Utopia” si pone sulla stessa linea di ricerca, di carattere ‘sociale’, ma con un’attenzione alla dimensione antropologica che, in presenza di una vicenda storica tanto particolare, fa sì che la ricostruzione per mezzo della parola dei protagonisti, innanzi tutto, di una storia ‘mancata’, di cui sentiamo l’eco senza poterne più conoscere la voce e le parole, assuma i contorni che sempre più, allontanandosi da quell’esperienza, acquistano uno spessore quasi epico quanto più privo di retorica.
Quello che, nel caso di “Fra Arcadia e Utopia”, viene mostrato è, paradossalmente, ciò che nessuno ha visto o documentato nè narrato: e su cui non si dispone se non di memorie personali, staccate da uno sfondo storico determinato dall’adesione e dalla partecipazione a
processi che, positivi, o di speranza, sembrano subiti con la stessa fatalità. Rimangono i disegni dei progetti, qualche manifesto, brevi filmati che accrescono il senso di straniamento, suo malgrado, ‘poetico’, rimesso ai paesaggi e ai volti degli intervistati. Storici come Salvatore Lupo e Franco Amata, i proff. Fausto Carmelo Nigrelli e Vincenzo Sapienza, docenti della Facoltà di Architettura dell’Università di Catania, l’ingegner Angelo Morello, dell’Ente di Sviluppo Agrario della Regione Sicilia, hanno illustrato i vari aspetti di una storia misconosciuta, riscontro alle parole di chi ha vissuto e ancora vive nei borghi e ai silenzi dei paesaggi in cui, ruderi o ancora superstiti, i borghi sono immersi: parte di quel silenzio della storia che Barberi e Pennisi hanno riportato a filo conduttore e elemento strutturale della narrazione del non detto, del non dicibile di una storia che non è solo di una Riforma tardivamente giunta e consegnata all’oblio.

Sabato, 20 maggio, come si diceva all’inizio, ha avuto luogo, col patrocinio del Comune di Paternò, la III edizione di “Hair & Make Up Night”, a cura del corso Operatore del Benessere, al cui interno si è svolta “Voci, suoni, parole, immagini dell’Età  di Mezzo”, sfilata in costumi d’epoca, di acconciature e cosmesi medievali, con musiche e letture a tema. La sfilata è stata resa possibile dalla disponibilità dell’I.I.S. “Lucia Mangano”, annesso all’I.P.S.I.A. “Enrico Fermi” di Catania, che ha messo a disposizione i costumi realizzati da docenti e alunne; costumi che, dall’età greca ai primi del Novecento, sono esposti nel Museo della Moda all’interno dei locali dell’Istituto. Il Dirigente Scolastico dell’I.I.S. “Francesco Redi”, prof. Silvio Galeano, in apertura di serata, ha ringraziato per la generosità manifestata e lo spirito di collaborazione fra istituti scolastici, un esempio per tutti da seguire, la responsabile dell’I.I.S., prof.ssa Simona Minicò e la prof.ssa Francesca Lanaia, cui si deve l’allestimento del Museo della Moda, che hanno prestato assistenza e fornito, oltre ai costumi, i materiali storico-didattici che, a integrazione del lavoro di ricerca storica e di elaborazione testuale svolto dalle alunne della III B da cui sono scaturiti saggi e articoli, prodotti dalle alunne sotto la supervisione del prof. Rocco Giudice, si sono rivelati necessari per una fruizione non meramente spettacolare, ma in tutta la sua valenza culturale, della sfilata. Il Dirigente Scolastico ha altresì ringraziato la prof.ssa Tania Fiorito, del corso Operatore del Benessere, per avere seguito l’organizzazione e la preparazione, oltre che di “Hair & Make Up Night”, della sfilata in tutte le sue fasi, dalle prove, ripetute più volte, allo svolgimento a piazza Indipendenza. Successivamente, è intervenuto il sindaco di Paternò, prof. Mauro Mangano, che ha espresso il proprio apprezzamento per le attivitò di rilievo culturale proposte dall’I.P.A.A. “Santo Asero”, istituto che riveste un ruolo strategico nella formazione dei giovani nel contesto economico del territorio, in cui il comparto agricolo rappresenta un assetto fondamentale. Subito dopo, l’Assessore alla Pubblica Istruzione e ai Beni Culturali, avv. Valentina Campisano, ha ribadito i concetti espressi dal Sindaco rimarcando come l’attenzione e l’interesse con cui l’Amministrazione Comunale ha recepito positivamente le proposte di collaborazione del “Santo Asero” trovi conferma nell’inserimento della serata in corso all’interno del programma della “Notte dei Musei.” Nello stesso tempo, ha proseguito l’Assessore, la riqualificazione del patrimonio culturale può costituire l’opportunità  per una riconversione produttiva che punti sulla cultura come occasione di lavoro e di sviluppo.

La serata è stata introdotta dal concerto, apprezzato quanto fluviale ben oltre gli argini orari concordati con gli organizzatori e da questi con l’Assessorato e le forze di polizia, tenuto dall’ensemble jazzistico, fresco dell’alloro colto in una competizione nazionale riservata agli istituti scolastici, del “Francesco Redi”, denominato “Belpasso School Orchestra” e diretto dal prof. Fabio Desiderio. La manifestazione è stata presentata da Giuditta Guglielmino e Francesco Prezzavento, che, come avviene dalla I edizione, hanno dimostrato un affiatamento scaturito dalla complementarità di atteggiamenti e ruoli, con la scioltezza informale di Francesco, in grado di entrare in immediata empatia con gli ospiti e di coinvolgere il pubblico: e la più controllata misura Giuditta, sia col partner di scena che nel
rapportarsi agli interlocutori di volta in volta sul palco.
Il primo momento dello spettacolo è stato affidato a un “coraggioso” diplomando dell’I.PA.A.A, Orazio Conigliello, V A, che si è cimentato nel ruolo di fine dicitore sfidando, con l’incoscienza dell’età, un pizzico di autoironia e grande umiltà, le remore dovuta a timidezza e inesperienza pur di riverire i majores. Con le note in sottofondo dell’elegia madrigalesca Elspeth of Nottingham, dei Focus, la sua interpretazione di Tanto gentile…, del Padre Coscritto Dante e di Solo et pensoso…, del Padre Putativo Petrarca, è stata accolta col rispetto dovuto a un’emozione che è parsa comprensibilmente sincera. Quindi, è stata la volta del cantautore Calogero Incandela, coadiuvato dal flautista Dario Lo Cicero, figure fra le più interessanti della scena underground siciliana. In una linea di continuità che, dai joungleurs e cioè, giullari, trobadour ovvero trovatori e passando da chansonnier e folk-singer, arriva ai menestrelli dei nostri giorni, Calogero Incandela prende di mira istituti e contesti sia educativi che di comunicazione (i talent-show che dispensano un successo illusorio, con Ex factor; il collegio, con Suoraggio; e ancora, la vita universitaria, vita contemplativa che prepara alla sempre meno probabile e vivibile vita attiva; i riti profani delle vacanze economiche e dei sogni a buon mercato come lo sono le ali di pollo; perfino i boy-scout, insospettabili agenti inquinanti da cui nessuno protegge la natura). La vena ludico-surreale, mitemente demistificatoria, intimista e goliardica del duo trovava flagrante riscontro nella situazione in atto, in cui il contesto della piazza offriva elemento di supporto
all’effetto straniante delle canzoni.

Subito dopo, l’esibizione di una giovanissima danzatrice, Giulia Laudani, allieva della scuola di danza “Studio Tre”, che, sulle note di Colorfull Life, con una leggerezza da silfide, ha incantato tutti regalando una parentesi di delicatezza e di grazia commovente. Quindi, si è assistito alla proiezione del treaser e alla presentazione, cui ha fatto ala il cast, della web fiction del genere gothic “Red Shawl”, realizzata dalla casa di produzione catanese Silver Screen Group. Una produzione tutta al femminile, dalla regista, Angelica Lazzarin, all’aiuto regista nonché fondatrice del Silver Screen Group, Sara Aguiari, ai ruoli principali, affidati a Giovanna Criscuolo, Fiorella Tomaselli, Maria Giovanna Russo per continuare con le più giovani Gloria e Martina Caronia, Federica Maria Briglia, ecc… Senza dimenticare gli attori: Alfonso Giordano, Gianluca Caruso, Pippo Marchese, Angelo Cutuli, fra gli altri. Sarà la parsimonia femminile o una scelta di produzione, “Red Shawl”, girata fra Catania e Motta Sant’Anastasia, costa 10 euro a puntata – prendano nota i commissari alla spending review -: viaggi avanti e indietro nel tempo, esoterismo, poteri magici contrapposti, maledizioni trasmesse in eredità, gli ingredienti che hanno decretato il successo televisivo di serie come Dottor Who o di film come Timeliner ci sono tutti.

Infine, cuore della manifestazione, ha avuto luogo l’attesa sfilata in costume, coronamento del lavoro di ricerca di cui nel preterito sul concetto della bellezza, sulla cosmesi, sul ruolo della donna nell’immaginario artistico e letterario, da un lato e nella realtà  sociale, dall’altro, lungo l’arco dei secoli che corre dall’Alto al Basso Medioevo. L’età  più remota era pressoché unisex, lo stesso vale per la distinzione fra laici e ecclesiastici, a causa della diffusa e pressoché omogenea scarsità materiale, per ragioni di gusto e di moralità, così che gli indumenti sono pressoché identici: la gonnella o tunica; e la guarnacca o mantello. Se, in particolare, il dimorfismo sessuale è, in quest’epoca, castigato da vesti che attenuano le
differenza anatomiche, non avviene lo stesso per quel che riguarda le differenze sociali, almeno per ciò che attiene i tessuti: aristocratici e ricchi mercanti, se non si distinguono per una più spiccata eleganza delle confezioni, possono permettersi stoffe più pregate e costose. Nel Basso Medioevo, durante il rigoglioso e indefinito trascorrere dell’autunno quest’epoca in cui coesistono miseria e fasto, che, col diffondersi di una maggiore agiatezza, si riscoprono esigenze e si risveglia una sensibilità, che si credeva sopita, se non perduta, nei secoli più bui. I giovani vestono abiti aderenti come fuseaux, braghe attillate su cui è indossata una corta giacca, il farsetto o giornea.
Rinascono le città e rinasce la moda, l’abbigliamento vede sorgere nuove figure professionali: il sarto, lo zupparo o farsettaio, specializzato nella produzione di indumenti grandiosi come architetture per via di imbottiture scenografiche, il caligaro, cui si devono scarpe e stivali, calze e calzettoni; il merzaio, addetto a guanti e copricapo imponenti. Nei secoli che chiudono convenzionalmente il Medioevo, le stoffe di magnati, sia di origine borghese che di lignaggio aristocratico. Le giovani in età  marito e le donne non ancora andate in sposa portavano capelli sciolti o intrecciati in acconciature complicate e comprensive di veli, nastri, fili di gemme minerali o vegetali. Alle spose venivano tagliati i capelli e non potevano più andare a capo scoperto; la cosmesi prescriveva volto bianco ovvero sbiancato, lo stesso per dentatura e mani immacolate, sopracciglia rasate e sostituite da tratti di matita e gote cosparse di rosso.

Personificazioni da tableau vivant di parole e di iconografie che ineffabilmente parlano ancora di noi e dei nostri sogni, Florio e Biancifiore, Giulietta e Romeo, midons e drut, Belle Dame Sans Merci di Keats e Clori botticelliana, ragazze e ragazzi delle classi II, III e IV A e della classi II e III B dell’I.P.A.A., con le alunne del Corso Benessere che hanno avuto cura di cosmesi e pettinature sotto la guida dei docenti Angela Patania (estetica) e Roberto Di Fazio (acconciature), per una perfetta riproduzione in 3-d delle illustrazioni di codici miniati e dipinti, sia coevi che successivi, con figure uscite d’un balzo dalle opere di maestri fiamminghi o di casa nostra come dai dipinti dei preraffaelliti e loro seguaci, da William Holman Hunt a William Morris, Edward Burne-Jones, William Waterhouse, Edmund Blair Leighton…

Il protrarsi della manifestazione oltre l’orario previamente stabilito non ha consentito di effettuare la prevista premiazione degli elaborati per il giornalino d’Istituto, “Il Corriere dell’Attimo Fuggente”, rinviata a venerdì giugno, in concomitanza con l’ultimo giorno di
scuola. In quell’occasione, la cerimonia, che si svolgerà  nell’aula magna dell’I.P.A.A. “Santo Asero”, vedrà  il conferimento dei seguenti premi: miglior articolo, a Alessia Petralia, III A; miglior saggio, a Francesca Licandri, II B; migliore recensione, a Carmelo Furnari, III A; miglior intervista, a Caterina Caudullo e Noemi Scalisi, II B; menzione d’onore, come benemeriti della scuola, a Rita Di Mauro, III B, autrice del bozzetto del logo del giornalino e a Orazio Conigliello, V A, distintosi nella fattiva collaborazione alle manifestazioni della “Settimana della Cultura e del Libro.”

Il successo complessivo di questa nuova edizione della rassegna culturale non può trascurare la riconoscenza verso le persone cui è dovuto: oltre al Dirigente Scolastico, prof. Silvio Galeano, primo e più convinto sostenitore della manifestazione, i proff. Gisella Aricò, Concetta Torrisi, Andrea Castelli, Giovanni Sapienza, Giovanni Somma, ‘risolutore’ in tutte le situazioni di emergenza dovute a imprevisti dell’ultimo momento. Ancora, vanno ringraziati i collaboratori scolastici, che hanno dimostrato una disponibilità offerta anche andando oltre le consegne contenute negli ordini di servizio: in tal senso, è da ringraziare, per tutti e su tutti, il sig. Antonio Rapisarda, infaticabile e pressoché insostituibile nel ruolo di jolly.
Ancora, un ringraziamento speciale va a Andrea Leanza, III A, che si è adoperato nel corso delle manifestazioni per la parte informatica e infine ha curato l’impaginazione dell’articolo che state leggendo. E in definitiva, un doveroso riconoscimento va a chi ha lavorato nel modo più disinteressato, senza aspettarsi, pertanto, alcun compenso neppure di lodi e di ringraziamenti, credendo e impegnandosi senza risparmio di tempo e di energia.

prof. Rocco Giudice